Signore e signori, ecco Il Teatrino. Ha un'anima grande, quella di un "bambino indaco"
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A scuola la maestra lo chiamava così, "bambino indaco". Uno di quei bambini considerati particolari, che per alcuni potrebbe significare "stranuliddi", per altri, quelli che vanno un po' più a fondo, significa che hanno qualcosa di speciale dentro.
La storia che vi racconto è quella di Domenico Ciaramitaro, che oggi di anni ne ha 33 e di un luogo speciale anch'esso, Il Teatrino di Palermo.
Percorri la via Paolo Gili fino all'ingresso dei Cantieri Culturali della Zisa. Sul marciapiede opposto, al civico 11, noterai una piccola persiana dipinta di rosso, sempre aperta. Sei arrivato.
Entri, una ventina di sedioline in legno bianco, un piccolo palco, fondale nero e sipario. La sensazione che provi è quella di essere in posto che esiste anche per te. Ad accogliermi ci sono anche Domenico, Emanuela Fiorenza e Giovanni Maiorana.
Sposto un portasigarette dorato che sulla sedia bianca crea una luce bellissima, in effetti fuori c'è un sole che spacca e i suoi raggi illuminano di riflesso l'interno del Teatrino. Mi seggo e inzia la nostra chiacchierata.
«Il luogo in cui ci troviamo adesso era un magazzino - racconta Domenico - ma ancora prima era il bagno di una grande casa antica di una zia di mia madre che era una dama di compagnia della baronessa di Camporeale. Quando morì, non avendo figli decise di lasciarla ai nipoti dividendola in particelle per non fare disparità. Questa stanza rimase inutilizzata dai miei genitori.
A casa mia non avevo una porta, era una precauzione di mio padre - continua - mi chiudevo spesso nelle stanze non facendo più entrare nessuno così, quando ci trasferimmo nella casa nuova, decise che non avrei dovuto avere una porta. So che lo faceva per me, ma in questo modo a me mancava la mia intimità. Così proposi, arrivato il momento, di poter usare il magazzino e trasformarlo in uno spazio mio, intimo e personale. Un pensatoio. L'ho ristrutturato e resa la mia stanzetta con la porta».
Domenico aveva sempre avuto la necessità di esprimere quello che aveva dentro, anche se da piccolo non lo capiva, era una cosa di cui si accorgevano più gli altri, gli adulti, «Ma poi la vita ti viene a prendere, è sempre così. Se stai in ascolto con la tua anima accade, puoi scappare da tutto, puoi anche trovare il lavoro migliore del mondo da un punto di vista economico, ma se non è quello che la tua anima desidera prima o poi scoppi dentro. Io sono arrivato al teatro. Che è sacrificio, è dedizione; poi, per come lo intendo io, il teatro è quello fatto di braccia, dove l'attore è anche autore, scenografo, costumista, sarto».
È stato del tutto naturale che quella stanzetta diventasse un teatro. Dopo qualche anno passato tra queste mura a creare, ha capito che era il momento di dare vita al teatrino e iniziò a prendere le misure per il palco, «Lo vedi questo fondale nero e questo siparietto? Sono il frutto di un baratto. Mio nonno che aveva una macelleria, mi aveva lasciato una basculla che è una bilancia antica, voleva che la vendessi, mi diceva che 500 euro me li avrebbe fruttati, ma io la misi qui, da parte. Un giorno chiamai Pippo, un amico che ha una sartoria, il giorno in cui venne al teatrino per prendere le misure adocchiò la basculla... mi chiese cosa fosse e come mai l'avessi e mi disse di fare questo scambio, il lavoro in cambio della basculla. E io Accettai, sapendo che sarebbe finita in buone mani che ne apprezzano il valore».
Nel 2015 Il Teatrino, aperto insieme a Francesca Impastato, debutta con un primo spettacolo scritto da Domenico sul tema del bullismo dal nome Tinta Petra. «Abbiamo fatto circa 40 repliche. Cosa non facile, ma ero abbastanza temprato grazie alla formazione che ho avuto e sono risucita a sostenere tante repliche in uno spazio così piccolo e quindi con il pubblico a un palmo dal naso».
Quando si riferisce alla sua formazione parla di Emma Dante. Nel 2013 infatti aveva fatto il provino per l'Accademia al Teatro Biondo di Palermo, ai tempi diretto dalla regista, superando le selezioni. «Ho passato tre anni bellissimi e in cui lei mi ha dato tanto, e ho imparato la disciplina e il rigore. Debuttammo con lo spettacolo Odissea girando per l'Italia. Da lì sono iniziate poi le collaborazione con altri colleghi, altri provini e ho lavorato anche con lo Stabile di Catania, di recente con loro ho fatto Pinocchio di Franco Scaldati».
Una cosa di cui va particolarmente orgoglioso - e me lo racconta con l'umiltà che ogni attore dovrebbe avere - è l'avere partecipato alle Orestiadi di Gibellina vicendo il bando con un suo testo, "Saro", «l'ho scritto per mio padre - mi racconta - che ha sempre convissuto con un disagio avendo avuto la poliomelite da piccolo e ho raccontato così la storia di un ragazzo che viene chiuso in una casa e messo da parte dalla madre che si vergogna di lui e questo bambino, costretto in un luogo chiuso, da lì apre la finestra e vede il mondo. Ha solo due amici, due manichini che in relatà sono il suo alter ego, e sogna il mondo che vorrebbe, immagina di correre».
Nella sua vita c'è il teatro ma ci sono anche il cinema e la tv, lo avrete visto nel film di Aurelio Grimaldi Il delitto mattarella, nel docufiction per la Rai "Io, una giudice popolare al Maxiprocesso" di Francesco Miccichè, ha recitato in Montalbano e ne Il cacciatore che è un'altra serie per la Rai e ancora con Andrea Segre al cinema nel film L'ordine delle cose e di recente ha finito di girare un bel ruolo nel film La Stranezza di Roberto Andò. E adesso ci sono tante cose in ballo, «ma aspettiamo - dice sorridendo - vediamo che succede...»
Ma torniamo al Teatrino. Tutte le persone che vengono qui, rimangono colpite da questo posto, «Ludovico Caldarera, Melino Imparato, e tanti altri hanno assistito ad alcuni spettacoli - continua a raccontare -, tutti grandi artisti che comunque hanno assorbito quella Palermo antica, dove il teatro era nato per Nino Drago che aveva questo piccolo teatrino che gestiva insieme a quelli che sono diventati grandi, Burruano, Rori Quattrocchi, Paride Benassai, Giacomo Civiletti, Scaldati stesso, Li Bassi e loro un po' lo rivedono qui.
Ricordo quando Letizia Battaglia decise di entrare. Io la vedevo passare molto spesso perchè andava al centro sperimentale di Fotografia dei Cantieri e una mattina io ero qui, stavo facendo memoria di qualcosa, non ricordo adesso... e sentì una voce fuori "Io devo capire che ci fanno qua dentro"... e si palesò sull'usciò. Mi chiese col suo fare cosa fecessi qui e poi aggiunse "Ma è bellissimo! È un luogo stupendo, mi sembra una Palermo degli anni '70, dove c'erano questo teatrini così piccoli" e giù con i complimenti. Quandò andò via mi disse che non appena avesse avuto un momento sarebbe venuta a farmi una fotografia... purtroppo non c'è stato il tempo. Mi parlò col cuore in mano - aggiunge emozionato - io lo vedevo».
Questo è un luogo di scambio, un laboratorio creativo, un posto per tutti. Quando non ci sono rassegne o spettacoli, qui si crea comunque. «Il teatrino è "aperto" - spiega -, nel senso che avendo un luogo da gestire chiamo artisti che conosco e i contatti che ho ma un attore o un regista, possono venire qui a proprorre qualcosa, e in generale chiunque ha qualcosa da dire, e sente l'esigenza di farlo, può venire qui e proporla e poi insieme si valuta. Inoltre quando lavoriamo teniamo volutamente le porte aperte ed è importante anche per il quartiere, per i ragazzi che passano da qui, anche i bambini, arrivano e si siedono.
Col teatro si può arrivare ovunque, per me Palermo è la mia America. L'importante è credere nei propri sogni, il mio è dare e lasciare. Il bambino che viene a guardare, per me è speranza, i bambini sono il futuro e secondo me un barlume deve rimanere. Palermo è piena di talenti che sono andati via, potrei farlo anche io, me lo hanno detto tante volte, ma io non voglio».
Domenico lavora anche fuori, coglie ovviamente le opportunità che arrivano, ma vuole rimanere nella sua terra. Perché non necessariamente bisogna trasferirsi a Roma o Milano o all'estero e lì fare "successo" per poter essere considerati un riferimento nel mondo artistico della propria città; cosa paradossale ma che qui, a Palermo, sembra essere invece la normalità. E questa mentalità provinciale, permettetemi di dirlo, sarebbe anche l'ora di scardinarla.
Il Teatrino è tutto questo e tanto di più. Mi reputo un'attenta osservatrice e una gran curiosa eppure io questa porticina rossa non l'avevo mai vista in tanti anni in cui sono entrata ai Cantieri. Si vede che questo posto, che ha un'anima grande e come tutti i teatri è un luogo magico, si rendeva invisibile ogni volta che passavo da lì. Si vede che non era ancora il momento. Quando è il momento le cose accadono. Fatele accadere anche voi. Andateci.
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